Castelnuovo Cilento

Castelnuovo, al quale nel secolo scorso è stato aggiunto il connotativo, deve il suo nome alla presenza di un castello che sorge in una posizione geografica molto suggestiva, su una collina, proprio al centro del territorio comunale, dalla quale si può dominare con lo sguardo tutta la valle dell'Alento, fino alla spiaggia del Mar Tirreno. Il borgo, che comprende anche le frazioni di Casal Velino Scalo e Vallo Scalo, si sviluppa intorno al Castello, tra strette stradine in pietra.
Secondo la tradizione, dopo la caduta del castello della Bruca (i cui ruderi e la torre sono ancora visibili sull'acropoli dell'antica Velia), gli abitanti l'abbandonarono e, risalendo la piana verso l'interno in cerca di un rifugio più sicuro, si insediarono nei pressi di una vecchia fortificazione normanna che da allora prese il nome di Castelnuovo. La collina sulla quale sorge l’attuale paese, nel passato fu sede di piccole celle ed eremitaggi di benedettini, di cui sono rimasti alcuni ruderi. Secondo l'Antonini, il costruttore del castello fu il grande giustiziere del regno di Federico II, Gisulfo di Mannia. La struttura del castello, risalente all’anno Mille, con l'arco abbassato e le pietre disposte a taglio e a filari, è tipicamente normanna.
Con la rivolta dei Baroni di Capaccio, alla quale partecipò anche Gisulfo di Mannia, conclusasi con una sanguinosa repressione, i beni dei Mannia vennero confiscati e Castelnuovo fu assegnato a Guido d'Alemagna, un cavaliere francese della corte di Carlo d'Angiò, il quale fece ricostruire il castello danneggiato ed edificare fortilizi, simili a quelli di Castelnuovo, a Lucera e a Manfredonia in provincia di Foggia.
Scomparsa la casa d'Alemagna nel 1469, il Castello appartenne a diverse altre famiglie e, solo nel 1724, alla famiglia dei marchesi Talamo-Atenolfi, che tuttora ne è proprietaria.
La rivoluzione del 1799 e le guerre napoleoniche non consentirono ai Talamo-Atenolfi una buona manutenzione del castello; in seguito i tre violenti terremoti del 1850 e del 1857 provocarono diversi crolli, anche la torre venne gravemente danneggiata. Allora i Talamo-Atenolfi si trasferirono presso la contrada Pantana, dove possedevano un enorme caseggiato che, nel 1848, durante i moti cilentani, fu luogo d'incontro delle numerose colonne di insorti: nel 1860 la torre di Castelnuovo fu definitivamente abbandonata e, con le lesioni provocate dai precedenti terremoti, divenne un rudere.
Nel 1966 il marchese e ambasciatore Giuseppe Talamo-Atenolfi si adoperò per salvare il castello dalla rovina definitiva, promuovendone il restauro: oggi il castello conserva la sua antica fisionomia.
Secondo una leggenda, il castello di Castelnuovo era collegato con il castello di Velia e con altri castelli della zona attraverso dei cunicoli sotterranei.
Alle pendici del colle, brevi campagne di scavo archeologico hanno individuato un insediamento di tipo rurale dove numerosi materiali, quali attrezzi in ferro e grossi contenitori in terracotta per derrate alimentari, suggeriscono lo sfruttamento agricolo del suolo; la presenza di numerosi pesi da telaio è indice della tessitura della lana, mentre il toponimo moderno "Foresta" suggerisce un'attività di legnatico.

Tratto dalla guida "Viaggio tra le Meraviglie della Campania" - Annangelo Sacco Editore

Castelnuovo, al quale nel secolo scorso è stato aggiunto il connotativo, deve il suo nome alla presenza di un castello che sorge in una posizione geografica molto suggestiva, su una collina, proprio al centro del territorio comunale, dalla quale si può dominare con lo sguardo tutta la valle dell'Alento, fino alla spiaggia del Mar Tirreno. Il borgo, che comprende anche le frazioni di Casal Velino Scalo e Vallo Scalo, si sviluppa intorno al Castello, tra strette stradine in pietra.
Secondo la tradizione, dopo la caduta del castello della Bruca (i cui ruderi e la torre sono ancora visibili sull'acropoli dell'antica Velia), gli abitanti l'abbandonarono e, risalendo la piana verso l'interno in cerca di un rifugio più sicuro, si insediarono nei pressi di una vecchia fortificazione normanna che da allora prese il nome di Castelnuovo. La collina sulla quale sorge l’attuale paese, nel passato fu sede di piccole celle ed eremitaggi di benedettini, di cui sono rimasti alcuni ruderi. Secondo l'Antonini, il costruttore del castello fu il grande giustiziere del regno di Federico II, Gisulfo di Mannia. La struttura del castello, risalente all’anno Mille, con l'arco abbassato e le pietre disposte a taglio e a filari, è tipicamente normanna.
Con la rivolta dei Baroni di Capaccio, alla quale partecipò anche Gisulfo di Mannia, conclusasi con una sanguinosa repressione, i beni dei Mannia vennero confiscati e Castelnuovo fu assegnato a Guido d'Alemagna, un cavaliere francese della corte di Carlo d'Angiò, il quale fece ricostruire il castello danneggiato ed edificare fortilizi, simili a quelli di Castelnuovo, a Lucera e a Manfredonia in provincia di Foggia.
Scomparsa la casa d'Alemagna nel 1469, il Castello appartenne a diverse altre famiglie e, solo nel 1724, alla famiglia dei marchesi Talamo-Atenolfi, che tuttora ne è proprietaria.
La rivoluzione del 1799 e le guerre napoleoniche non consentirono ai Talamo-Atenolfi una buona manutenzione del castello; in seguito i tre violenti terremoti del 1850 e del 1857 provocarono diversi crolli, anche la torre venne gravemente danneggiata. Allora i Talamo-Atenolfi si trasferirono presso la contrada Pantana, dove possedevano un enorme caseggiato che, nel 1848, durante i moti cilentani, fu luogo d'incontro delle numerose colonne di insorti: nel 1860 la torre di Castelnuovo fu definitivamente abbandonata e, con le lesioni provocate dai precedenti terremoti, divenne un rudere.
Nel 1966 il marchese e ambasciatore Giuseppe Talamo-Atenolfi si adoperò per salvare il castello dalla rovina definitiva, promuovendone il restauro: oggi il castello conserva la sua antica fisionomia.
Secondo una leggenda, il castello di Castelnuovo era collegato con il castello di Velia e con altri castelli della zona attraverso dei cunicoli sotterranei.
Alle pendici del colle, brevi campagne di scavo archeologico hanno individuato un insediamento di tipo rurale dove numerosi materiali, quali attrezzi in ferro e grossi contenitori in terracotta per derrate alimentari, suggeriscono lo sfruttamento agricolo del suolo; la presenza di numerosi pesi da telaio è indice della tessitura della lana, mentre il toponimo moderno "Foresta" suggerisce un'attività di legnatico.

Tratto dalla guida "Viaggio tra le Meraviglie della Campania" - Annangelo Sacco Editore

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